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domenica 30 gennaio 2011

La censura in Internet e le rivolte in nel Mediterraneo

Le rivolte popolari scatenate dal rincaro dei generi alimentari che stanno travolgendo i regimi autoritari in tutto il Mediterraneo hanno, con la rivolta tunisina ed egiziana, coinvolto attivamente anche internet (e in particolar modo i Social Network) con la sua censura ferrea e con lo spegnimento degli Internet Service Provider (ISP), snodi fondamentali senza i quali non è possibile navigare nel web.

Dato che offriamo un servizio on-line che vuole anche divulgare notizie dalla rete per aiutare la comprensione di ciò che accade e di come i dimostranti siano riusciti ad aggirare la censura governativa abbiamo scelto di pubblicare un articolo che da consigli ai blogger che vogliono sfidare la censura apparso sul prestigioso blog internazionale GlobalVoice (qui nella versione italiana) e pubblicato anche dal quotidiano "La Stampa" dal quale riprendiamo l'articolo tradotto in italiano.




Egitto: tutelare l'anonimato online, prevenire le ritorsioni


TRADOTTO DA TAMARA NIGI
Come si è visto in Iran e Tunisia, nei regimi autoritari i social network hanno consentito agli attivisti di far sentire la propria voce in modo possente, ben oltre i confini dei loro Paesi. Ma l'impiego di questi strumenti ha dato anche modo ai governi di identificare queste persone ed esercitare ritorsioni nei loro confronti. Questa settimana, le stesse dinamiche sono in atto in Egitto. Per questo è decisivo che tutti gli attivisti - lì e altrove - prendano precauzioni per salvaguardare l'anonimato e la libertà di espressione. Le proteste in Egitto evidenziano anche un altro aspetto importante: i governi autoritari possono bloccare l'accesso alle piattaforme dei social media, però il modo per aggirare la censura e comunicare con il resto del mondo in genere si trova, se gli attivisti sono risoluti e tecnicamente competenti.Nel tentativo di reprimere i manifestanti egiziani, il governo di Hosni Mubarak sta bloccando i vari siti a intermittenza e rispondendo con l'arresto di blogger, giornalisti e dissidenti. Come i Tunisini, anche i manifestanti egiziani hanno fatto ampio uso delle piattaforme dei social media per scambiarsi fra loro, e condividere con il mondo esterno, informazioni sulle proteste in atto. Malgrado il governo egiziano abbia bloccato l'accesso a Twitter, i messaggi comunque pervenuti dalle manifestazioni di Suez e del Cairo hanno fornito notizie minuto per minuto sulle contestazioni in corso, sulle mosse della polizia, sui morti e i feriti, oltre a link fotografici da Twitpic, e video da YouTube. Grazie alla collaborazione fra i cittadini impegnati nelle proteste, per ora il sistema di comunicazione ha tenuto. Si è anche saputo che, quando nella piazza di Tahir, al Cairo, sono venuti meno i servizi di trasferimento file con telefonia cellulare, i vicini residenti hanno messo a disposizione le reti Wi-Fi domestiche per consentire ai manifestanti di collegarsi a internet.
Nel primo giorno di proteste, il governo egiziano ha bloccato diversi siti web, e fra questi anche Twitter e Bambuser, sito svedese che consente la trasmissione in diretta streaming di video da cellulari. Il secondo giorno, l'oscuramento di Twitter praticato dal governo era limitato e intermittente, ma si è comunque parlato del blocco di Facebook e di YouTube. Non si capisce bene se, nei giorni a venire, il governo egiziano aggiungerà altri siti all'elenco di quelli bloccati. Persino il Segretario di Stato degli Stati Uniti Hillary Clinton - che durante le proteste tunisine poi sfociate nella rivoluzione aveva mantenuto un palese silenzio - ha fatto appello al governo di Mubarak per il rispetto della libertà di espressione, esortandolo a “non ... bloccare le comunicazioni, comprese quelle che avvengono sulle piattaforme di social media.”
Altra insidia, nella scandalosa campagna di riduzione al silenzio e di censura che il governo di Mubarak sta portando avanti, sono gli arresti e l'incarcerazione di blogger, giornalisti e attivisti. IlCommittee to Protect Journalists [Comitato per la Protezione dei Giornalisti] ha riferito che il governo egiziano ha oscurato del tutto almeno due nuovi siti indipendenti: Al-Dustour e El-Badil. La polizia ha picchiato il corrispondente di Al-Jazeera Mustafa Kafifi; arrestato invece il cronista del Guardian Jack Shenker, che dell'incidente ha fatto circolare una registrazione audio. Arrestati anche cameramen che riprendevano le proteste, come pure semplici passanti che con i cellulari cercavano di filmare l'accaduto.
L'Egitto non è certo nuovo agli arresti dei blogger. Kareem Amer, per esempio, è stato condannato nel 2007 a quattro anni di reclusione per aver "denigrato la religione" e "diffamato il presidente". Nel 2009, Karim Al-Bukheiri, che è fondatore di un forum online, è stato arrestato e torturato ed è ora vigilato dagli apparati di governo. Solo l'anno scorso, la Islamic Human Rights Foundation (fondazione islamica per i diritti umani) ha dato notizia dell'arresto da parte delle forze di sicurezza egiziane di "almeno 29 persone fra blogger, avvocati e attivisti per i diritti umani".
La preoccupazione qui è lampante: se si calmano le proteste di strada, il governo di Mubarak potrebbe avviare una campagna di ritorsioni e di oppressione, con arresti e persecuzioni nei confornti dei blogger e degli attivisti che hanno raccontato le proteste online. Ci sono Paesi in cui si è andati oltre [su questa strada]: in Iran, per esempio, dove due attivisti dell'opposizione sono statiimpiccati proprio questa settimana per aver fotografato, filmato e pubblicato online le proteste della Rivoluzione Verde.
Visti i pericoli potenziali, è categorico che gli attivisti egiziani prendano precauzioni nelle comunicazioni online. Va ribadito: i social network hanno consentito agli attivisti di far sentire la propria voce in modo possente, ben oltre i confini dei loro Paesi. L'impiego di tali strumenti, tuttavia, ha dato anche modo ai governi di identificare queste persone ed esercitare ritorsioni nei loro confronti.
Raccomandiamo infine agli attivisti politici di prendere visione della nostra pubblicazioneSurveillance Self Defense International dove potranno approfondire i metodi per un uso difensivo della tecnologia mirato a proteggere l'anonimato e la libertà d'espressione in Egitto e negli altri Paesi in cui vigono regimi autoritari.
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Articolo di Eva Galperin, attivista internazionale della EFF (Electronic Frontier Foundation), originariamente apparso su Global Voices Advocacy.
 
Link all'articolo del "La Stampa" 

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